Riscaldamento domestico: come gestire gli impianti e risparmiare

Visto l'arrivo dei primi freddi della stagione autunnale, il presidente Bertuzzi fornisce in questo breve tutorial qualche suggerimento per risparmiare, sempre con un occhio rivolto al rispetto dell'ambiente.

https://www.youtube.com/watch?v=jbRAXkJ14jI


Abitare MOLTO Sociale. Un laboratorio in corso

Il progressivo invecchiamento della popolazione che vive nelle abitazioni di edilizia pubblica e sociale delle grandi città italiane, la concentrazione nelle cosiddette “case popolari” di nuclei monofamiliari e/o con disabilità, portatrici di problematiche legate alla cronicità e/o alla non autosufficienza, persone immigrate, famiglie in situazioni di povertà economica, sociale e/o educativa delineano contesti di multiproblematicità e vulnerabilità sociale che, in assenza di adeguate risposte da parte delle politiche pubbliche, in termini di presa in carico dei bisogni delle persone che in quei contesti abitano, diventano luoghi inospitali, potenziali incubatori di conflitti sociali che alimentano processi di disgregazione del tessuto comunitario.
È dunque indispensabile, per migliorare la qualità di vita degli abitanti e favorire la coesione sociale, che la gestione del patrimonio abitativo pubblico di tipo residenziale prenda in considerazione la condizione di fragilità delle persone che accedono agli alloggi pubblici e che le istituzioni locali che si occupano di politiche abitative, in collaborazione con le Aziende Casa, riflettano e si interroghino su politiche in grado di coniugare aspetti relativi alla gestione del patrimonio immobiliare con aspetti sociali.
In questa prospettiva, sono interessanti alcuni progetti di “abitare sociale” presenti sul territorio che riguardano direttamente le popolazioni vulnerabili e su cui possono concentrarsi politiche ad alta integrazione sociosanitaria, con particolare attenzione a chi risiede (o può risiedere) negli appartamenti pubblici, mantenendo però lo sguardo attento anche a forme orientate a fornire abitazioni al di sotto del costo di mercato a persone disabili, anziane, con problematiche sociali o sociosanitarie, senza dimenticare tutte quelle altre forme di abitare che, in generale, sono volte a migliorare la qualità dell’abitare (si vedano ad esempio le esperienze di abitare collaborativo, di vicinato solidale ecc.).
È a partire da queste sollecitazioni che la Città Metropolitana di Bologna e l’Istituzione Gian Franco Minguzzi, in collaborazione con ACER Bologna, hanno sviluppato un percorso laboratoriale di confronto e riflessione sull’“Abitare (MOLTO) sociale”, rivolto a soggetti del Terzo Settore che si occupano di servizi sociali, sociosanitari e di comunità, in relazione alle più diverse vulnerabilità.
Il laboratorio si pone principalmente l’obiettivo di approfondire le politiche abitative di inclusione per soggetti fragili e vulnerabili, documentando la complessità di esperienze esistenti sul territorio metropolitano. Il fine è quello di interrogarsi su come rendere sostenibili e sistemici questo tipo di interventi, facendo emergere specifici problemi legati alle nuove esigenze dell’abitare, come sedimentare e dare continuità a queste esperienze, affinché la “comunità” non resti solo legata a un singolo progetto; si tratta, dunque, di immaginare collettivamente come i saperi emersi da questi interventi possano acquisire una rilevanza sistemica, producendo scelte politiche e di impatto sui servizi sociali e sanitari.

Cosa abbiamo fatto

Il percorso laboratoriale ha preso avvio a maggio 2023 con un primo incontro dedicato alla narrazione di esperienze da parte di soggetti del terzo settore del territorio metropolitano che gestiscono servizi abitativi innovativi, per condividere criticità e prospettive e capire come mettere in rete le risorse. All’incontro sono state invitate a partecipare realtà che gestiscono già servizi abitativi o correlati all’abitare nell’ambito metropolitano di Bologna e soggetti che potessero essere interessati a progettazioni innovative in questo ambito. Dall’incontro è emersa una grande ricchezza di esperienze e di significati dell’ “abitare”
A seguito del primo incontro dedicato alla narrazione di esperienze presenti nel territorio metropolitano, il 14 giugno 2023 è stato realizzato il seminario “Abitare molto sociale. Progetti ed esperienze per un abitare inclusivo” che si è svolto presso la Sala Anziani di Palazzo d’Accursio (Comune di Bologna). Il seminario ha visto la partecipazione di circa 80 persone tra operatori dei servizi sociali, sociosanitari, abitativi, associazioni del terzo settore che operano sui temi dell’abitare, rappresentanti delle istituzioni. L’evento è stato dedicato alla presentazione di tre esperienze innovative sul tema dell’abitare collaborativo e sociale, pensate per rispondere in modo integrato a diverse tipologie di bisogni: 1) il progetto C.A.S.A. – Centri ALER per i Servizi Abitativi, illustrato da Domenico Ippolito, Direttore generale di ALER Milano, e Raffaella Saporito, docente di Practice of Government, Health and Not for Profit al Dipartimento di Scienze sociali e politiche della SDA Bocconi; 2) il modello P.R.I.S.M.A. (Fondazione La Città del Sole Onlus, Perugia), descritto da Marco Casodi, Direttore generale della Fondazione La Città del Sole Onlus, Perugia; 3) il progetto BuonAbitare (Associazione BuonAbitare), presentato da Elvio Raffaello Martini, psicologo di comunità, ideatore e animatore del progetto BuonAbitare e presidente dell’associazione omonima.
Anche in questa occasione, tanti gli interrogativi posti dai relatori. «In che modo – si chiede Martini – possiamo introdurre elementi di socialità nell’abitare ordinario “appartato” dei condomini delle nostre città?». I servizi sono importanti, ma a volte non sono sufficienti ed è necessario integrarli o aggiungerne di nuovi; è importante garantire la funzionalità, la capillarità, portarli il più vicino possibile alle persone, nella prossimità. Anche l’aspetto urbanistico e quello architettonico sono importanti, ma la qualità dell’abitare ha bisogno del coinvolgimento attivo, responsabile e organizzato delle persone.
«È inevitabile – spiega la professoressa Saporito – che le complessità di cui sono portatori gli abitanti entrino, di fatto, nei processi di gestione di un’azienda Casa. Nella misura in cui queste aziende gestiscono un servizio pubblico, la gestione non può che essere sociale».
L’abitare molto sociale richiede un ragionamento su cosa voglia dire, oggi, offrire servizi abitativi: vuol dire osservarne gli ingredienti, ma anche soffermarsi sugli apprendimenti.
Nella crisi del mercato urbano, che esacerba i rapporti tra beni e soggetti della società contemporanea, l’azione pubblica può e deve dare spazio alle voci e alle competenze diffuse, formarne di nuove, allungando la sua rete dentro una nuova concezione dello spazio urbano e umano. Infine, il seminario è stato l’occasione per promuovere il proseguimento del percorso laboratoriale nei prossimi mesi, per riflettere insieme su esperienze esistenti in ambito metropolitano e interventi innovativi a sostegno dell’abitare pubblico e sociale.

Istituzione Minguzzi e Città Metropolitana di Bologna


Focus quartieri di edilizia pubblica - la Cirenaica

Il quartiere detto della Cirenaica a Bologna, è un quartiere compreso tra la Porta San Donato e la via Massarenti ed è caratterizzato per il suo essere attraversato dalla ferrovia di San Vitale.
La principale direttrice del quartiere è la via Libia, orientata lungo un asse nord-sud, caratterizzata dalla presenza di un sovrappasso ferroviario (ponte di via Libia) che immette al quartiere San Donato e alla Fiera.
Nel maggio del 1913, durante i primi lavori edilizi legati alla costruzione del nuovo rione urbano bolognese, furono rinvenute tombe di cultura villanoviana, nell’area tra le attuali vie Musolesi, Bentivogli, Fabbri e Vincenzi.
Per sottolineare l’importanza di tale ritrovamento relativo alla necropoli villanoviana, in uno dei cortili tra i condomini popolari di via Bentivogli, nel rione Cirenaica venne così realizzato e inaugurato, nel 2004, un piccolo museo-parco all’aperto (Museo Area Archeologica Corte 9 via Bentivogli Civ. 34).

Il museo fu realizzato per iniziativa dell’ACER e dell’Associazione Amici della Cirenaica su progetto del Museo Civico Archeologico.
Lo spazio museale concepito, si compone di grandi pannelli illustrativi, opera di Riccardo Merlo, e di teche, che conservano copie fedeli dei reperti. Villanoviani rinvenuti in quel luogo.

Con la realizzazione di tale spazio espositivo, si è così voluto mettere in luce le tracce più antiche della civiltà  Felsinea etrusca che si ritiene si insediò proprio nell’attuale Cirenaica in quanto si trattava di un territorio pianeggiante e prospiciente al corso del fiume Savena (che allora scorreva in quell’area, mentre ora è collocato più a est).
Le abitazioni villanoviane erano per lo più del tipo a capanna a pianta circolare, ovale o rettangolare, e i principali materiali da costruzione impiegati erano legno, paglia e mattoni crudi.
L’edificazione del rione moderno (quartiere) fu avviata a ridosso della guerra italo-turca avvenuta del 1911-12, il cui esito fu la conquista della Libia da parte dell’Italia avvenuta Il 9 aprile 1913.
Per celebrare questo evento, il Comune scelse quindi di chiamare la strada principale del rione via Libia che rappresenta appunto l’arteria principale che attraversa il quartiere in tutta la sua lunghezza e di dedicare la toponomastica della zona alle principali città e regioni dei nuovi territori di conquista: via Tripoli (che inglobò nel suo percorso i relitti delle vie San Donato e Mondo), via Bengasi, via Derna, Via Zuara, Via Homs, Via Due Palme e Via Cirene, che diede il nome al rione (ed insieme a via Derna inglobò nel suo percorso i relitti di via Savena.
Nelle opere di edificazione realizzate nel rione Cirenaica, ebbe inizialmente un ruolo predominante la Coop. Risanamento, mentre negli anni dal 1934 e al 1937 operò principalmente l’”Azienda delle Popolarissime” (Iacp)
Dopo la seconda guerra mondiale, l’odonomastica coloniale lasciò il posto a quella riferita alla memoria dei Caduti per la Liberazione di Bologna e per volere dell’amministrazione comunale ( sindaco Dozza) le strade, ad eccezione della centrale via Libia (arteria principale), furono intitolate ai patrioti ed eroi della Resistenza tra i quali Giuseppe Bentivogli, Sante Vincenzi, Mario Musolesi, Paolo Fabbri, Gianni Palmieri, Massenzio Masia, Ilio Barontini, Gastone Rossi, Francesco Sabatucci.
Urbanisticamente parlando, la Cirenaica è un quartiere il cui fascino architettonico è espresso attraverso differenti tipologie edilizie, quelle dei grandi condomini edificati dalla Coop Risanamento, con tanto di targa commemorativa, che si affiancano alle villette dal tipico stile emiliano realizzate con i mattoni a vista e colori vivaci.
La regolarità delle strade, tutte simili tra loro, compongono così una scacchiera ordinata in cui gli elementi principali si ripetono puntualmente dando voce della memoria. di un quartiere operaio oggi multietnico.
In Cirenaica, tra le case ivi edificate, vi è anche quella del noto cantautore Francesco Guccini, il quale nel 1976 ha titolato un suo album con il proprio indirizzo, “Via Paolo Fabbri 43”.
In Cirenaica si segnala inoltre la presenza della mitica Trattoria Da Vito, locale dove altri cantanti come Dalla, Vecchioni, De André, erano soliti trascorre le loro serate “a tirar tardi”.

La storia urbanistica ed architettonica della Cirenaica è legata a quella del suo principale soggetto attuatore ovvero l’”Istituto Autonomo Case popolari(Iacp).
Infatti, intorno agli Anni ‘30e ’40, l’’Ente (Iacp), bandisce un concorso per la costruzione di alloggi da destinarsi a famiglie numerose.
Il progetto vincitore risultò quello degli architetti lombardi Franco Albini, Renato Camus e Giancarlo Palanti, che erano esponenti di punta del razionalismo milanese.
Il loro progetto, vincitore verrà adattato alla realtà locale bolognese dal giovane progettista dello Iacp, l’arch. Francesco Santini (1904-1976) e questo permise la costruzione di numerosi stabili a più piani in diverse zone periferiche, tra le quali via Vezza, in Cirenaica, e in via dello Scalo.
Le “Popolarissime“, erano veri e propri “casermoni”, che, per esplicita vocazione e disposizione planivolumetrica, potevano essere realizzate in periferia rispetto al centro storico cittadino e lontano dalle arterie viarie principali.
Tali edifici erano destinati ad ospitare per lo più i diseredati del Baraccato (un ex ospedale militare fuori porta Lame) e le famiglie sfrattate dai borghi demoliti nel centro storico.
La struttura di questi insediamenti era del tipo “a rioni chiusi e autosufficienti” che prevedeva la messa in comune di vari servizi quali l’asilo, la lavanderia e il controllo sociale esercitato tramite un servizio di portineria.
I primi fabbricati delle “Popolarissime” furono consegnati nell’estate 1935 e Il trasloco alle nuove case assunse l’aspetto di un vero e proprio esodo, attuato con tutti i mezzi disponibili (anche portando le masserizie a spalla).
Il programma delle “Popolarissime” si chiuderà alla fine del 1937, con l’edificazione di più di 700 alloggi per circa 3.500 inquilini.
Ad oggi gli edifici di edilizia residenziale pubblica realizzati dallo Iacp in Cirenaica sono quelli principalmente distribuiti nelle vie Libia, Sante Vincenzi (un tempo via Derna), Gianni Palmieri (un tempo via Homs), Mario Musolesi (un tempo via Due Palme), Paolo Fabbri.


Focus quartieri di edilizia pubblica - la Bolognina

Con la fondazione dello Iacp (Istituto Autonomo case Popolari) avvenuta nel 1906, il Comune di Bologna si dota di uno strumento socioeconomico (soggetto attuatore) per dare una risposta alla sempre più crescente necessità di alloggi per le classi sociali meno abbienti, esigenza che fino ad allora veniva soddisfatta attraverso l’attività edilizia esercitata da Enti di Assistenza e Società Cooperative sostenute dall’Amministrazione Pubblica.
La popolazione a cui erano destinate le nuove abitazioni era in prevalenza quella estromessa dal centro storico a seguito degli sventramenti resisi necessari per attuare il P.R.G. approvato a Bologna nel 1889.
Nel suo primo periodo di attività, fino alla guerra mondiale, lo Iacp costruì più di mille alloggi distribuiti in 50 fabbricati e i primi edifici realizzati sorgeranno alla Bolognina a partire dal 1908.
L’8 maggio del 1908 furono infatti consegnati i primi 234 alloggi costruiti dallo Iacp in un’area (a nord della ferrovia) denominata “Bolognina.”
L’appartamento tipo proposto dall’Istituto Autonomo Case Popolari era di circa 40 mq, composto da cucina, camera e un piccolo locale per i servizi igienici.
Dal 1908 al 1912 furono realizzati così fabbricati del tipo a corte, su ampi lotti la cui suddivisione era determinata dalla maglia stradale così come ridisegnata dal Prg. del 1889.

Oltreché alla Bolognina, Nel 1912, gli insediamenti edilizi realizzati dallo Iacp interesseranno anche il quartiere “Cirenaica”, ovvero quell’area ubicata fuori porta S. Vitale dietro la stazione della Ferrovia Veneta.
Gli alloggi popolari verranno qui realizzati secondo quattro tipologie differenti, a cui corrispondeva un canone d’a­ffitto di­fferente.
Già nel 1910, era stata messa a punto una tipologia di alloggi con locali più ampi ed un terrazzino esterno per ogni abitazione, alloggi più grandi di quelli realizzati nel 1908 (40mq. Circa) ma a costi d’affitto leggermente superiori.
Era infatti stata fatta la scelta di elevare la soglia del reddito massimo delle famiglie aventi diritto all’assegnazione di un alloggio pubblico (anche per evitare il rischio di morosità).
Lo Iacp aveva fatto uno studio che aveva portato alla realizzazione di una nuova tipologia di alloggi che furono però realizzati solo in piccola parte).
Questi alloggi si di­fferenziano dalle precedenti tipologie in quanto erano costituiti da un’architettura esterna realizzata con una minore parsimonia di ornamentazione, ma che internamente avevano una disposizione planimetrica studiata in modo da ricavarne appartamenti più ampi e comodi.
Questo studio e queste nuove tipologie di alloggi vennero fatti con il proposito di impostare un certo numero di case idonee a quella categoria di famiglie, modeste, le quali non potevano essere considerate “operaie” nel vero senso della parola, ma neppure essere ascritte alla borghesia, erano alloggi per famiglie, che avevano redditi se non inferiori, appena uguali ai redditi delle famiglie operaie.

Dal 1908 al 1918 la popolazione aumentata da 169.000 a 200.000 abitanti, rese necessari nuovi interventi edilizi realizzati allo Iacp tra il 1919 e il 1927.
Nel 1926, sotto la direzione del podestà Arpinati, si edificheranno anche alloggi “con patto di futura vendita” che escluderanno però le classi più indigenti della città, le quali, nonostante la politica di anti-urbanesimo proclamata dal regime fascista, avevano lasciato il lavoro della terra negli anni della grande crisi agraria (1931- 1933).
Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli alloggi di proprietà dello Iacp distrutti o gravemente danneggiati ammontavano a quasi il 90% del Patrimonio stesso.
La ricostruzione degli edifici lesionati dalla guerra procedeva di pari passo all’edificazione di alloggi da realizzare ex novo, che venivano eretti con analoghe soluzioni progettuali, contribuendo a modellare un paesaggio dai tratti uniformi.
Alcuni edifici in linea destinati all’affitto, saranno realizzati in un contesto ambientale già fortemente caratterizzato dall’edilizia postbellica dello IACP, si tratta degli edifici che erano presenti in via Libia, via Pier Crescenzi e via Matteotti, destinati per lo più a residenza e in alcuni casi anche ad attività commerciali ubicate a piano terra, sotto al portico.
L’aumento dei flussi migratori dal Polesine (per l’alluvione del 1951), dal ferrarese e dal Meridione, contribuirono anch’essi, in questi anni, a marcare profondamente l’identità del quartiere, soggetto dagli anni Ottanta a un profondo cambiamento conseguente alla dismissione o riconversione (si veda le O­fficine Minganti) di importanti attività produttive, al riassetto infrastrutturale dell’area e all’a­fflusso di nuovi residenti immigrati.
Ad oggi, gli edifici di edilizia residenziale pubblica realizzati dallo Iacp alla Bolognina sono quelli principalmente distribuiti nelle corti interne, e nelle vie Albani, Zampieri, Di Vincenzo, Fioravanti. De’ Carracci (nel tratto compreso tra via Fioravanti e via Matteotti), Tiarini, Zampieri, Tibaldi, Bolognese e Matteotti, quale prosecuzione periferica di via Indipendenza.


Residenzialità diffusa e inclusione sociale: intervista a Ilaria Avoni, Presidente di “Piazza Grande”

La gestione di alloggi di edilizia residenziale pubblica e sociale è a tutti gli effetti un fatto relazionale che richiede una attenzione al rapporto con gli inquilini e le comunità di abitanti. ACER Bologna con il progetto “ACER Sociale” ha intensificato le collaborazioni con soggetti del privato sociale e dell’associazionismo interessati al tema dell’abitare collaborativo e con finalità di inclusione sociale. Ne parliamo con Ilaria Avoni presidente di Piazza Grande, cooperativa sociale che da tempo si occupa della gestione sociale di alloggi destinati all’inserimento sociale e abitativo di persone fragili secondo i principi dell’Housing First

Quanto è centrale oggi il tema della residenzialità diffusa in rapporto a finalità di inclusione sociale di soggetti fragili? Come nasce e si sviluppa questa attenzione all’abitare?

Il tema della residenzialità diffusa è centrale nei nostri progetti di inserimento abitativo di adulti in grave emarginazione adulta, famiglie in emergenza abitativa e migranti: è infatti uno dei principi del modello Housing First a cui ci ispiriamo. L’accoglienza diffusa è lo strumento scelto per affermare il diritto all’abitare e ridurre il rischio di ghettizzazione, permettendo un lavoro di integrazione sociale nel contesto abitativo e nel quartiere.

Intravedi una contrapposizione tra le forme di residenzialità istituzionalizzata e quella che si basa sugli alloggi ordinari? Quali sono i vantaggi di una politica di inclusione sociale realizzata tramite l’abitazione “ordinaria” pubblica o privata?

L'accoglienza istituzionalizzata ordinaria e di bassa soglia è fatta di “soglie” per quanto basse: orari di ingresso e di uscita, convivenza forzata e non scelta, temporalità dell’accoglienza, scarsa possibilità di personalizzazione degli spazi e non sempre prevede la possibilità di uso cucina. Il rischio effetto ghetto che si somma a quello di istituzionalizzazione e di conseguenza cronicizzazione con ingressi e uscite che si ripetono è purtroppo un’evidenza nonostante il lavoro degli operatori e delle operatrici e lo sviluppo di una sempre più diffusa attenzione al lavoro di comunità. La dimensione della casa permette invece di riconoscersi ed essere riconosciuto come cittadino e cittadina, restituisce un potere di scelta rispetto agli spazi, al cibo, all’uso del tempo, risponde non solo al bisogno di un tetto, ma a quello di casa, spazio intimo ma che ci permette di aprirci alla relazione.

Perché è così importante la casa?

In tutti i nostri progetti la casa è il punto di partenza per un lavoro di accompagnamento a 360 gradi delle persone inserite (gestione casa e convivenza, inclusione nel territorio, salute, lavoro, socialità…). I percorsi non sono standardizzati, ma costruiti a partire dai bisogni e dai desideri delle persone e portati avanti insieme alle persone e al servizio di presa in carico.

Quali sono i servizi essenziali che è necessario attivare in progetti di residenzialità diffusa? Ritenete siano importanti le forme di partnership con altre organizzazioni di welfare pubbliche e private?

L’accompagnamento della persona nel suo percorso di riconoscimento e intervento sui bisogni rispetto a casa, lavoro e socialità non si esauriscono nel supporto all’abitare e al supporto manutentivo e amministrativo ed educativo o nella cura delle relazioni di vicinato, ma devono prevedere l’accompagnamento e l’aggancio ai servizi del territorio e alle diverse realtà presenti nel quartiere che offrono occasioni di incontro e socialità. Tra le collaborazioni più interessanti citiamo il progetto sperimentale di integrazione sociosanitaria che ha visto l’equipe di Hf lavorare fianco a fianco con uno dei CSM del territorio: oltre ad equipe integrate è stato possibile svolgere insieme al personale infermieristico, domiciliari negli appartamenti in modo da rendere meno impersonale e lontano il servizio specialistico.

In che modo all’interno dei vostri progetti viene attivata, sostenuta, stimolata la capacitazione individuale e la dimensione collaborativa tra gli abitanti?

Il modello capacitante informa i nostri progetti perché la persona è riconosciuta come protagonista del percorso che viene attivato. Vengono rispettati i suoi bisogni e i suoi tempi. Gli operatori non impongono regole all’interno degli appartamenti ma facilitano nelle assemblee di appartamento l’emersione di bisogni, di problemi e conflitti e accompagnano le persone ad affrontarli e gestirli e a costruire le regole della convivenza.

Tenuto conto che una casa è sempre inserita in un contesto territoriale più ampio, in che modo affrontate il tema del rapporto con la comunità di luogo, il contesto abitativo nel suo complesso, il quartiere?

Noi partiamo dal presupposto che la grave emarginazione non è un problema individuale, l’esito funesto di mancanze e fragilità personali, bensì un problema sociale che riguarda un sistema economico e sociale costruito sulle disuguaglianze. E’ fondamentale quindi prendere in considerazione entrambi i lati della medaglia e quindi accompagnare la persona senza dimora e allo stesso tempo lavorare sul contesto territoriale. Il lavoro di comunità è forse la parte più sfidante e difficile per le equipe dei progetti di inserimento abitativo.


Dalle case popolari al tricolore: la pugile della Bolognina è campionessa italiana

Pamela Malvina Noutcho dedica il la vittoria del titolo italiano dei pesi leggeri  alle case popolari Acer della Corte 3

La sua è una storia di riscatto, integrazione, coraggio, forza e voglia di farcela malgrado le condizioni di partenza non fossero le più favorevoli. La sua storia è la dimostrazione che anche chi parte in svantaggio può arrivare primo al traguardo. E lei, partita dalle case popolari della Bolognina, è salita sul gradino più alto del podio aggiudicandosi il titolo italiano dei pesi leggeri di boxe.

A incrociare i guantoni con le difficoltà della vita la pugile di origini camerunense (ma ora bolognesissima) Pamela Malvina Noutcho ha incominciato presto, con un determinazione che sta dando i suoi frutti migliori. Arrivata in Italia a otto anni, dopo gli studi a Perugia, si è trasferita a Bologna dove lavora come infermiera al Maggiore. Vive in Bolognina in una casa Acer e da otto anni si allena nella popolare palestra della società sportiva Bolognina Boxe sotto la guida del tecnico Alessandro Dané.

Pamela si è anche esibita sotto gli occhi dei suoi vicini di casa e dei tanti fan che la seguono: dallo scorso anno sono state organizzate diverse serate nelle corti degli edifici Acer della Bolognina con l’allestimento di un regolamentare ring su cui si sono esibiti dilettanti e professionisti con un grandissimo seguito di pubblico.

Pamela Malvina

Ed è proprio alla sua gente e alla città che l’ha accolta che la campionessa ha voluto dedicare il titolo italiano conseguito a Casoria l’8 settembre dopo aver ottenuto la cittadinanza nel 2022. “Questa vittoria la dedico anche alle case popolari della Corte 3 dove ho fatto il debutto da professionista, ho sempre sentito di avere con me una città che mi supportava”, ha dichiarato l’atleta trentunenne. Una grande soddisfazione per Acer, che lavora non solo per dare case a chi ha meno risorse ma anche per permettere la realizzazione di storie di integrazione e di successo come questa.


Nuove opere di street art in arrivo. E non solo sui muri delle case popolari

La bellezza, la creatività e la capacità comunicativa della street art sui muri di tanti palazzi di edilizia residenziale pubblica delle periferie bolognesi entusiasma anche i privati. Sul modello e “per contagio” di alcune opere realizzate lo scorso anno sui muri anonimi di alcuni edifici popolari di via Giuriolo, i ragazzi del collettivo Blq hanno appena concluso un nuovo murales sulla proprietà di un privato in via Zaniboni, in continuità con quelli dell’attigua via Giuriolo.
Gli artisti Draw e Ambo (fumettisti di vaglia, il primo è figlio dell’indimenticato Magnus) ripropongono il personaggio di gatto Burdigone che racconta un mini-storia e, come sulla parete dell'edificio Acer realizzata nel 2022, il disegno si svolge in chiave fumettistica, proprio per rendere un senso unitario di dialogo tra i disegni sugli stabili. Il personaggio Burdigone, come aveva accennato sulla parete precedente, racconta di sue esperienze “strane”, quasi ai confini della realtà, e del suo mondo fantastico.
Si tratta di una realizzazione artistica piuttosto unica, che potremmo definire crossmediale perché il disegno a fumetti parte dal muro e probabilmente approderà sulla carta in un albo e poi, chissà, magari sullo schermo in un cartone animato…
Intanto, in attesa delle prossime avventure di Burdigone, sono partiti e si potranno ammirare in progress fino al 16 ottobre i lavori di ripristino con abbellimenti di street art di alcune palazzine di via Martelli realizzati sempre dal collettivo Blq. Il progetto di Urban Art dedicato all’Arte di strada, denominato Block The Wall e giunto alla Tredicesima Edizione, viene realizzato con il sostegno di Acer e del settore Cultura e Creatività del Comune di Bologna.


Come contattare l'URP di Acer

Il presidente Bertuzzi illustra nel video seguente come contattare l'URP di Acer.

https://www.youtube.com/watch?v=GlYRlMqNC8w


Come consultare le bollette on line

Il breve video seguente illustra come sia possibile consultare le bollette online.


Dove sorsero le prime case popolari ora nascono gli alloggi del nuovo millennio

Sta per essere ultimato l’edificio di edilizia residenziale pubblica che sorge all’angolo tra le vie Serra e Albani, in Bolognina, a due passi dal centro storico, proprio nel punto in cui oltre cent’anni fa vennero costruite le prime case popolari di Bologna. E’ proprio qui, infatti, che è iniziata la lunghissima storia dell’edilizia residenziale cittadina, a seguito della nascita – nel 1906 – dello Iacp, l’Istituto autonomo case popolari predecessore dell’attuale Acer. Un’istituzione frutto dell’ingegno, visionario ma concreto, di sindaci come Giuseppe Tanari e poi come Francesco Zanardi, ricordato come il “sindaco del pane”, ma anche della casa.
Al posto dell’edificio quasi concluso fino a poco prima del Covid c’era un buco, una voragine di detriti su cui si erano fatte strada le sterpaglie nel corso di tre decenni. Quando finalmente è stato dato il via ai lavori per la costruzione di un nuovo edificio, ci sono stati rallentamenti dovuti all’attenzione che Acer riserva alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose. Questo cantiere è diventato, infatti, anche il simbolo della lotta contro la corruzione condotta dall’Azienda Casa in quanto l’amministratore dell’impresa che si era aggiudicata l’appalto nel 2017 era stato poco dopo raggiunto da un provvedimento di custodia cautelare nell’ambito di un’indagine condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia e quindi Acer aveva subito rescisso il contratto e ne aveva stipulato uno con la società classificatasi seconda nella graduatoria di merito.
A seguito del ricorso fatto della società esclusa, benché già raggiunta da due interdittive antimafia, Acer ha ottenuto ragione prima dal Tar della Campania e poi dal Consiglio di Stato, che hanno sancito la correttezza dell’operato dell’Azienda Casa nell’attività di prevenzione della corruzione e delle infiltrazioni mafiose. Una sentenza che ha fatto scuola, quella del Consiglio di Stato, perché per la prima volta ha sancito che scopo primario delle disposizioni in materia di codice degli appalti e leggi antimafia è di prevenire i rischi e non di sanzionare eventuali condotte illecite, di competenza della giustizia penale. Correttamente, quindi, Acer Bologna ha interrotto i rapporti nel momento in cui la società appaltatrice è finita sotto indagine, a prescindere da quella che sarebbe poi stato il giudizio penale, con il solo fine di evitare che un ente pubblico si trovasse ad avere rapporti con soggetti la cui posizione sul mercato risulti alterata da influenze da parte del crimine organizzato. Una sentenza di cui siamo orgogliosi.

Nelle immagini qui sotto l’area compresa tra le vie Serra e Albani prima e dopo la realizzazione del nuovo edificio di alloggi popolari.