Avviata da Acer la sezione sulla Trasparenza di Genere
ACER Bologna è entrata a far parte di un gruppo di lavoro trasversale per la promozione della cultura di genere nelle politiche per la trasparenza amministrativa insieme all’Azienda Sanitaria di Ferrara, l’Azienda Sanitaria di Modena, l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna e l’Agenzia Regionale per il Lavoro.
Il Piano di azione del gruppo della Rete per l’integrità e la trasparenza (RIT) viene presentato in un format molto sui generis, al fine di consentire ai singoli attori di proporre progettualità e iniziative coerenti con le loro strategie operative nei diversi settori di competenza, notoriamente centrali per il benessere delle persone e delle comunità: lavoro, casa, salute. I singoli attori si accordano sostanzialmente sull’opportunità di implementare le pubblicazioni nell’Amministrazione Trasparente con dati aggiornati e disaggregati per genere, creando all’interno della sezione “Dati ulteriori” uno spazio informativo che si decide di nominare “Trasparenza di Genere”.
È importante sottolineare fin da subito che la promozione della parità di genere è un obiettivo che la Regione Emilia-Romagna da anni promuove in modo trasversale e integrato in tutte le politiche regionali e in chiave territoriale. Questo approccio mainstreaming di genere ha una sua cornice normativa e strumenti ad hoc ben definiti. Il progetto speciale della RIT si inserisce coerentemente all’interno di questo sistema finalizzato a rafforzare il radicamento sul territorio di una cultura della parità di genere, avvalendosi della collaborazione di soggetti pubblici e privati.
Nel corso del 2023 gli Enti della RIT che hanno aderito al progetto sulla parità di genere nelle politiche della trasparenza hanno condiviso alcune buone pratiche relativamente alla formazione per la diffusione della cultura di genere nell’ambito dell’organizzazione e della comunicazione e alla condivisione di dati, documenti e format di pubblicazioni sul sito dell'amministrazione trasparente, nella sottosezione “Dati ulteriori”, ove è stato creato lo spazio informativo “Trasparenza di genere”.
L’esperienza Habitat–Microaree a Trieste
In una società complessa dove le istituzioni e le competenze sono numerose, la risoluzione dei problemi delle famiglie e delle persone passa attraverso la creazione di un “sistema” nel quale si integrino fra loro interventi, servizi e prestazioni che, invece, spesso sono fra loro slegati o sovrapposti o addirittura in conflitto fra di loro. Tale obiettivo richiede un approccio di governance locale, che si traduca concretamente in intese per la programmazione e la gestione integrata degli interventi e nel coinvolgimento delle famiglie, delle associazioni e delle organizzazioni del terzo settore operanti nel territorio.
È in tale contesto che ha preso avvio dal 1998 una intesa fra il Comune di Trieste, l’Azienda sanitaria locale e l’ATER per un programma di integrazione dei rispettivi interventi e servizi, da ultimo denominato "Habitat-Microaree, salute e sviluppo della Comunità”. La sperimentazione iniziale ha riguardato un complesso residenziale di proprietà dell’ATER, abitato da 650 famiglie (circa 1.700 persone); si è poi allargata ad altri caseggiati ATER ed è stata successivamente estesa ai territori limitrofi alle case popolari (“microaree”). Attualmente sono una quindicina le microaree oggetto di intervento integrato, ciascuna con una popolazione che si aggira da 1.000 a 2.500 abitanti. Attraverso questo programma sono stati messi a disposizione locali per lo svolgimento di servizi e attività a favore degli abitanti delle case gestite dall’ATER di Trieste, in particolare per lo svolgimento del servizio di “portierato sociale” e per attività di socializzazione, formative e ricreative, finalizzate a prevenire e ridurre l’emarginazione delle fasce più deboli della popolazione.
Ciascuna microarea dispone di una o più sedi. Le sedi sono dotate di attrezzature informatiche, che consentono il collegamento con i vari servizi per via telematica. In ciascuna Microarea il personale è costituito da un operatore a tempo pieno dell’Azienda sanitaria, che funge da “Referente” di Microarea, gli operatori di Cooperative sociali che svolgono per conto dell’ATER il servizio di portierato sociale, gli operatori di Cooperative sociali che svolgono attività socioeducativa per conto del Comune e, infine, i volontari facenti parte di Associazioni.
Il Servizio di Portierato sociale svolto dagli operatori delle cooperative sociali per conto dell’ATER prevede la rilevazione delle necessità d’intervento delle parti comuni e delle aree verdi del complesso per il successivo inoltro ai competenti uffici dell’ATER, anche attraverso procedure informatizzate, il servizio di relazione con il pubblico tramite il quale vengono fornite informazioni agli inquilini sui servizi e sulle prestazioni dell’ATER e degli enti che aderiscono al protocollo d’intesa “Habitat-microaree, salute e sviluppo delle comunità”.
Le sedi Habitat-microarea rispondono alle funzioni di luogo di aggregazione, di coesione sociale, rivolto a tutta la popolazione dell’area bersaglio con particolare riferimento ai gruppi più vulnerabili (disabili, minori in età scolare, donne, giovani e anziani). Nelle aree interessate dal programma, sono stati inoltre effettuati interventi di riqualificazione e manutenzione degli spazi comuni degli stabili e delle aree scoperte e si è iniziato un percorso di gestione partecipata di servizi e attività, attraverso il coinvolgimento degli abitanti.
(a cura dell’ufficio gestione sociale dell’ATER di Trieste)
La direttrice di AbitoQui intervista il presidente di Acer
La rivista AbitoQui di ACER fa il suo esordio dopo il restyling, aprendo le pagine a un dialogo sui temi cruciali dell'abitare. In questo contesto, il Presidente Marco Bertuzzi e la Vicepresidente Raffaella Pannuti, che riveste anche il ruolo di direttrice della rivista, delineano i progetti ambiziosi del mandato in corso.
https://www.youtube.com/watch?v=bMA7kDADUQ0
Dopo un 2023 intenso, con numerosi cantieri dedicati alla riqualificazione energetica, ACER Bologna guarda con determinazione al 2024, proclamato dal Presidente Marco Bertuzzi come l'anno dei ripristini. Quest'anno infatti si prevedono una serie di iniziative ambiziose, mirate al recupero di alloggi inutilizzati da anni, seguendo la strategia abitativa del Comune di Bologna e puntando al traguardo dello sfitto zero. Il cuore del progetto è la volontà di rendere abitabili alloggi attualmente vuoti. ACER si impegna a mettere a disposizione della comunità abitativa soluzioni concrete e a migliorare la qualità della vita dei cittadini.
Parallelamente, si punta a implementare progetti welfare per gli attuali residenti, focalizzati sul concetto di prossimità, unendo l'aspetto fisico con quello digitale. L'introduzione di sensori digitali nelle case degli anziani rappresenta un passo avanti nella creazione di un ambiente sicuro e confortevole, promuovendo al contempo l'autonomia e il benessere.
Un'altra sfida importante è il rinnovo delle sedi fisiche, con particolare attenzione all'URP (Ufficio Relazioni con il Pubblico), dove verranno mostrate pillole informative. Queste pillole illustreranno argomenti cruciali, dall'efficienza energetica alla prevenzione della muffa, fornendo ai cittadini conoscenze pratiche per la gestione dei propri alloggi.
Particolare rilevanza viene data alla tutela delle donne vittime di violenza. ACER Bologna si è impegnata a garantire assegnazioni di alloggi alle donne che hanno subito tale percorso, sottolineando l'importanza di un approccio sensibile a questo tema delicato. La firma di un protocollo a fine novembre 2023 rassicura le donne che hanno subito violenza, garantendo che non perderanno il diritto all'alloggio, anche nel caso in cui l'assegnatario fosse il marito.
ACER Bologna si conferma, dunque, un punto di riferimento nell'ambito delle politiche abitative, promuovendo soluzioni concrete, innovazioni sociali e un'attenzione a 360 gradi verso gli utenti, creando uno spazio sicuro e inclusivo nella società.
Efficienza energetica: 40 edifici rivitalizzati con il Superbonus 110
https://www.youtube.com/watch?v=mcOvOx9qx2U
Negli ultimi due anni, ACER Bologna ha compiuto un'impresa straordinaria, portando a termine il più grande intervento di riqualificazione energetica nell'area metropolitana di Bologna, grazie al Superbonus 110. In quasi 40 cantieri, si sono svolti interventi innovativi mirati a ridurre i consumi energetici degli edifici, offrendo un concreto supporto agli assegnatari e contribuendo al risparmio energetico complessivo.
Il direttore tecnico, l'ingegnere Antonio Frighi, rivela che la sfida principale è stata operare all'interno degli alloggi con gli inquilini presenti. Le uniche opzioni disponibili erano l'applicazione del cappotto termico e la sostituzione degli infissi. Un'attenzione particolare è stata rivolta alle centrali termiche condominiali, richiedendo scelte oculate per gli edifici con impianti di riscaldamento autonomi e di proprietà pubblica.
Nei circa 30 interventi effettuati, ACER ha ottenuto risultati eccezionali in termini di riduzione dei consumi, con l'obiettivo di migliorare di almeno due classi energetiche. In alcuni casi, si è addirittura raggiunta una classe B per la maggior parte degli edifici, promuovendo un risparmio energetico significativo, stimato tra il 65% e il 75% per l'energia termica.
Spesso tali interventi sono realizzati in regime di EPC (Energy Performance Contract), in cui un operatore garantisce un miglioramento delle prestazioni energetiche del fabbricato. Gli abitanti continuano a pagare la stessa cifra o, in alcuni casi, godono di una diminuzione tariffaria, facilitando l'ammortamento dell'investimento. ACER Bologna ha adottato una prospettiva innovativa, trasferendo i costi sostenuti per tali interventi ai Comuni. Questa scelta strategica dimostra un impegno tangibile per rendere sostenibile l'ambiente abitativo e promuovere una gestione efficiente delle risorse energetiche.
Acer con la Città Metropolitana contro la violenza sulle donne
Le politiche di genere, non solo all’interno dell’azienda ma soprattutto nei confronti delle utenti, sono al centro dei progetti di welfare di Acer, in particolare nell’attuale consigliatura.
Acer non solo è partner attivo del Piano per l’Uguaglianza della Città Metropolitana di Bologna, ma agisce anche in autonomia. Attraverso patti con associazioni antiviolenza, ad esempio, l’Azienda Casa ha messo a disposizione di donne che escono da percorsi di violenza alloggi ripristinati secondo le esigenze di chi li abiterà, per permettere loro di ricostruire la propria vita lontano dagli autori di violenza.
In occasione dell’ultimo 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, Acer è stata tra i firmatari del Protocollo per la promozione dell’autonomia abitativa per le donne vittime di violenza, nato nell’ambito del Piano per l’uguaglianza.
“Sappiamo tutti che il maltrattante quasi sempre possiede le chiavi di casa – ha commentato il presidente di Acer Bologna Marco Bertuzzi in quell’occasione – Molte donne che vivono nei nostri alloggi non denunciano i compagni maltrattanti perché temono di perdere la casa e, di conseguenza, i figli. Non è così, ma è difficile spiegarlo a persone con scarsi mezzi se non le si pone davanti ad azioni concrete. In questi ultimi anni Acer, di fronte a oggettive situazioni di rischio, ha ovviato con i propri mezzi, non potendo cambiare le leggi e i regolamenti regionali e comunali. Per esempio, nel caso di un marito maltrattante intestatario dell’alloggio allontanato da casa con sentenza del giudice, abbiamo passato l’intestazione in capo alla moglie che è potuta rimanere nell’alloggio con i figli. Vogliamo rassicurare le donne maltrattate che vivono nelle case popolari: denunciate perché in nessun caso perderete l’alloggio”.
L’elemento più sottolineato da Bertuzzi è che ad Acer non interessa tanto l’aspetto sanzionatorio nei confronti del maltrattante, che spetta ad altri organi, quanto la tutela delle donne maltrattate, auspicando anche che si possa prevedere punteggi preferenziali per le donne vittime di violenza nell’accesso alle case popolari e altre analoghe politiche di tutela.
Abitare la vita per diventare adulti: i progetti della onlus Agevolando
L’associazione Agevolando e la sua mission
L’Associazione Agevolando nasce a Bologna nel 2010 con l’obiettivo di sostenere ragazze e ragazzi che hanno trascorso una parte della loro vita “fuori famiglia”, nello sviluppo e nel potenziamento delle proprie autonomie. Parliamo di care leavers, ovvero di giovani che da minori sono stati allontanati dalle proprie famiglie per essere collocati in comunità, case famiglia o affido, ma anche di minori stranieri giunti senza famigliari sul nostro territorio, spesso dopo viaggi lunghi e traumatici. Singoli con storie e vicissitudini molto diverse, accomunati da condizioni potenzialmente sfavorevoli, da ferite dell’anima a volte profonde, e da un ingresso “a tempo” nei sistemi da accoglienza, il cui termine perentorio di frequente non considera il livello reale di autonomia raggiunto. Questo significa che, a conclusione dei progetti, questi giovani si trovano a dovere affrontare tutte le complessità di un mondo competitivo e a tratti spietato, non di rado senza il sostegno di una rete sociale, famigliare e relazionale adeguata.
È proprio su questa mission che si innerva l’attività dell’Associazione Agevolando, fondata da care leavers adulti, che, a partire dalla propria esperienza, hanno deciso di lavorare per migliorare il sistema di accoglienza e la fase dell’uscita.
I progetti abitativi dell’Associazione Agevolando
Abitare un alloggio, per un giovane uscito dall’accoglienza, significa avere un luogo dove cominciare a sviluppare una propria idea di vita e una progettualità ed è un passaggio che segna l’accesso in un mondo adulto.
Bologna è una città soggetta a una pressione abitativa tale da rasentare l’emergenza: cercare una sistemazione è divenuto oramai complesso per chiunque e il libero mercato, con le sue “regole”, ha contribuito a definire delle categorie di inquilini indesiderati.
Di pari passo con la paura, purtroppo, si è andata cristallizzando l’immagine degli “inaffidabili”, che sembra resistere anche alla presenza di buone capacità reddituali e referenze positive: la volontà dell’Associazione è quella di elaborare, con l’aiuto di attori diversi, un insieme di buone pratiche, ma anche di interventi in grado di facilitare il superamento degli ostacoli che tanti giovani privi di sostegno familiare incontrano sulla loro strada.
Finalmente una casa, un progetto per chi non può più rimanere indietro
Nel corso degli anni, con l’acuirsi dell’emergenza abitativa, Agevolando ha cominciato a ricevere con sempre maggior frequenza richieste di aiuto da parte di care leavers che, pur avendo un buon lavoro, non riuscivano a trovare in alcun modo una stabilità abitativa.
Di fronte al dilagare di situazioni complesse, è nata l’idea di organizzare un progetto abitativo da rivolgere a giovani alle prese con tali difficoltà.
Dopo una prima fase esplorativa, ci è stata segnalata la possibilità che Acer concedeva a realtà del terzo settore di locare appartamenti a canone medio concordato, per realizzare progetti di integrazione abitativa. E’ nato così il progetto “Finalmente una casa”. Nel settembre 2020 Agevolando ha così acquisito 3 appartamenti siti nel quartiere Porto-Saragozza, affidati a 6 giovani in possesso di contratti di lavoro di apprendistato o a tempo indeterminato, che potranno rimanervi tre anni (una transizione più ampia, in modo da dare ai ragazzi il tempo e la tranquillità necessari per trovare un’occasione alloggiativa possibilmente duratura e adatta alle loro esigenze).
Con i ragazzi si strutturano obiettivi all’ingresso e in corso d’opera: si tratta di traguardi funzionali alla definitiva uscita dal circuito dei progetti sociali. Rimane quindi l’offerta di un accompagnamento educativo leggero e “on demand”, con incontri periodici, dove la possibilità di ottenere sostegno rispetto ai bisogni o alle criticità da affrontare è sempre presente.
Nessuno si salva da solo: alcune considerazioni conclusive
Ciò che sicuramente emerge dall’esperienza maturata è la centralità della rete come mezzo privilegiato per dare voce a istanze e significati diversi, condividere delle buone pratiche e mettere sul tavolo ciò che è possibile offrire. Se una buona rete sociale può risultare indispensabile per facilitare i care leavers nel loro percorso, lo stesso vale per un’associazione come Agevolando, che non può crescere e svilupparsi senza la collaborazione di persone, realtà e soggetti pubblici.
Come associazione di volontariato, le attività di Agevolando si sviluppano grazie alla spinta e alla passione di persone che mettono il proprio tempo a disposizione di una mission precisa. La partecipazione attiva dei care leavers, sempre centrale, consente di tradurre bisogni e suggestioni in azioni progettuali da sottoporre al vaglio dei beneficiari, così come il dialogo con i servizi sociali e con chi coordina strutture di accoglienze o vi lavora fornisce degli indicatori molto utili su bisogni o problematiche emergenti.
Le risultanze di questa rete di azioni e relazioni hanno però bisogno di partner pubblici e istituzionali, in grado di offrire, non solo un appoggio concreto indispensabile, ma anche la disponibilità a valutare quali strumenti o interventi aggiuntivi possano massimizzare l’impegno e le risorse investite. La possibilità di usufruire di alloggi in comodato gratuito o a canoni moderati risulta davvero cruciale, al fine di rispondere a una richiesta che rischierebbe di rimanere inascoltata, con conseguenze per i care leavers molto gravi. L’esperienza di Bologna suggerisce però anche l’importanza dei luoghi nei quali tutto ciò diventa vita e l’urgenza di difendere i complessi abitativi di edilizia popolare dal rischio di un’alta densità di disagio, cercando di valorizzare, anche a livello progettuale, la grande umanità che in genere vi si respira.
Insieme al progetto “Finalmente una casa” abbiamo attivo anche il progetto “Casa Dolce casa”, che offre la possibilità a giovani usciti dall’accoglienza di età compresa tra i 18 e i 26 anni, di usufruire di un alloggio, nell’ottica dell’housing sociale, con costi calmierati e con un accompagnamento educativo leggero.
Seguiamo 50 giovani in diverse città del nord, compreso Bologna.
Riscaldamento domestico: come gestire gli impianti e risparmiare
Visto l'arrivo dei primi freddi della stagione autunnale, il presidente Bertuzzi fornisce in questo breve tutorial qualche suggerimento per risparmiare, sempre con un occhio rivolto al rispetto dell'ambiente.
https://www.youtube.com/watch?v=jbRAXkJ14jI
Abitare MOLTO Sociale. Un laboratorio in corso
Il progressivo invecchiamento della popolazione che vive nelle abitazioni di edilizia pubblica e sociale delle grandi città italiane, la concentrazione nelle cosiddette “case popolari” di nuclei monofamiliari e/o con disabilità, portatrici di problematiche legate alla cronicità e/o alla non autosufficienza, persone immigrate, famiglie in situazioni di povertà economica, sociale e/o educativa delineano contesti di multiproblematicità e vulnerabilità sociale che, in assenza di adeguate risposte da parte delle politiche pubbliche, in termini di presa in carico dei bisogni delle persone che in quei contesti abitano, diventano luoghi inospitali, potenziali incubatori di conflitti sociali che alimentano processi di disgregazione del tessuto comunitario.
È dunque indispensabile, per migliorare la qualità di vita degli abitanti e favorire la coesione sociale, che la gestione del patrimonio abitativo pubblico di tipo residenziale prenda in considerazione la condizione di fragilità delle persone che accedono agli alloggi pubblici e che le istituzioni locali che si occupano di politiche abitative, in collaborazione con le Aziende Casa, riflettano e si interroghino su politiche in grado di coniugare aspetti relativi alla gestione del patrimonio immobiliare con aspetti sociali.
In questa prospettiva, sono interessanti alcuni progetti di “abitare sociale” presenti sul territorio che riguardano direttamente le popolazioni vulnerabili e su cui possono concentrarsi politiche ad alta integrazione sociosanitaria, con particolare attenzione a chi risiede (o può risiedere) negli appartamenti pubblici, mantenendo però lo sguardo attento anche a forme orientate a fornire abitazioni al di sotto del costo di mercato a persone disabili, anziane, con problematiche sociali o sociosanitarie, senza dimenticare tutte quelle altre forme di abitare che, in generale, sono volte a migliorare la qualità dell’abitare (si vedano ad esempio le esperienze di abitare collaborativo, di vicinato solidale ecc.).
È a partire da queste sollecitazioni che la Città Metropolitana di Bologna e l’Istituzione Gian Franco Minguzzi, in collaborazione con ACER Bologna, hanno sviluppato un percorso laboratoriale di confronto e riflessione sull’“Abitare (MOLTO) sociale”, rivolto a soggetti del Terzo Settore che si occupano di servizi sociali, sociosanitari e di comunità, in relazione alle più diverse vulnerabilità.
Il laboratorio si pone principalmente l’obiettivo di approfondire le politiche abitative di inclusione per soggetti fragili e vulnerabili, documentando la complessità di esperienze esistenti sul territorio metropolitano. Il fine è quello di interrogarsi su come rendere sostenibili e sistemici questo tipo di interventi, facendo emergere specifici problemi legati alle nuove esigenze dell’abitare, come sedimentare e dare continuità a queste esperienze, affinché la “comunità” non resti solo legata a un singolo progetto; si tratta, dunque, di immaginare collettivamente come i saperi emersi da questi interventi possano acquisire una rilevanza sistemica, producendo scelte politiche e di impatto sui servizi sociali e sanitari.
Cosa abbiamo fatto
Il percorso laboratoriale ha preso avvio a maggio 2023 con un primo incontro dedicato alla narrazione di esperienze da parte di soggetti del terzo settore del territorio metropolitano che gestiscono servizi abitativi innovativi, per condividere criticità e prospettive e capire come mettere in rete le risorse. All’incontro sono state invitate a partecipare realtà che gestiscono già servizi abitativi o correlati all’abitare nell’ambito metropolitano di Bologna e soggetti che potessero essere interessati a progettazioni innovative in questo ambito. Dall’incontro è emersa una grande ricchezza di esperienze e di significati dell’ “abitare”
A seguito del primo incontro dedicato alla narrazione di esperienze presenti nel territorio metropolitano, il 14 giugno 2023 è stato realizzato il seminario “Abitare molto sociale. Progetti ed esperienze per un abitare inclusivo” che si è svolto presso la Sala Anziani di Palazzo d’Accursio (Comune di Bologna). Il seminario ha visto la partecipazione di circa 80 persone tra operatori dei servizi sociali, sociosanitari, abitativi, associazioni del terzo settore che operano sui temi dell’abitare, rappresentanti delle istituzioni. L’evento è stato dedicato alla presentazione di tre esperienze innovative sul tema dell’abitare collaborativo e sociale, pensate per rispondere in modo integrato a diverse tipologie di bisogni: 1) il progetto C.A.S.A. – Centri ALER per i Servizi Abitativi, illustrato da Domenico Ippolito, Direttore generale di ALER Milano, e Raffaella Saporito, docente di Practice of Government, Health and Not for Profit al Dipartimento di Scienze sociali e politiche della SDA Bocconi; 2) il modello P.R.I.S.M.A. (Fondazione La Città del Sole Onlus, Perugia), descritto da Marco Casodi, Direttore generale della Fondazione La Città del Sole Onlus, Perugia; 3) il progetto BuonAbitare (Associazione BuonAbitare), presentato da Elvio Raffaello Martini, psicologo di comunità, ideatore e animatore del progetto BuonAbitare e presidente dell’associazione omonima.
Anche in questa occasione, tanti gli interrogativi posti dai relatori. «In che modo – si chiede Martini – possiamo introdurre elementi di socialità nell’abitare ordinario “appartato” dei condomini delle nostre città?». I servizi sono importanti, ma a volte non sono sufficienti ed è necessario integrarli o aggiungerne di nuovi; è importante garantire la funzionalità, la capillarità, portarli il più vicino possibile alle persone, nella prossimità. Anche l’aspetto urbanistico e quello architettonico sono importanti, ma la qualità dell’abitare ha bisogno del coinvolgimento attivo, responsabile e organizzato delle persone.
«È inevitabile – spiega la professoressa Saporito – che le complessità di cui sono portatori gli abitanti entrino, di fatto, nei processi di gestione di un’azienda Casa. Nella misura in cui queste aziende gestiscono un servizio pubblico, la gestione non può che essere sociale».
L’abitare molto sociale richiede un ragionamento su cosa voglia dire, oggi, offrire servizi abitativi: vuol dire osservarne gli ingredienti, ma anche soffermarsi sugli apprendimenti.
Nella crisi del mercato urbano, che esacerba i rapporti tra beni e soggetti della società contemporanea, l’azione pubblica può e deve dare spazio alle voci e alle competenze diffuse, formarne di nuove, allungando la sua rete dentro una nuova concezione dello spazio urbano e umano. Infine, il seminario è stato l’occasione per promuovere il proseguimento del percorso laboratoriale nei prossimi mesi, per riflettere insieme su esperienze esistenti in ambito metropolitano e interventi innovativi a sostegno dell’abitare pubblico e sociale.
Istituzione Minguzzi e Città Metropolitana di Bologna
Focus quartieri di edilizia pubblica - la Cirenaica
Il quartiere detto della Cirenaica a Bologna, è un quartiere compreso tra la Porta San Donato e la via Massarenti ed è caratterizzato per il suo essere attraversato dalla ferrovia di San Vitale.
La principale direttrice del quartiere è la via Libia, orientata lungo un asse nord-sud, caratterizzata dalla presenza di un sovrappasso ferroviario (ponte di via Libia) che immette al quartiere San Donato e alla Fiera.
Nel maggio del 1913, durante i primi lavori edilizi legati alla costruzione del nuovo rione urbano bolognese, furono rinvenute tombe di cultura villanoviana, nell’area tra le attuali vie Musolesi, Bentivogli, Fabbri e Vincenzi.
Per sottolineare l’importanza di tale ritrovamento relativo alla necropoli villanoviana, in uno dei cortili tra i condomini popolari di via Bentivogli, nel rione Cirenaica venne così realizzato e inaugurato, nel 2004, un piccolo museo-parco all’aperto (Museo Area Archeologica Corte 9 via Bentivogli Civ. 34).
Il museo fu realizzato per iniziativa dell’ACER e dell’Associazione Amici della Cirenaica su progetto del Museo Civico Archeologico.
Lo spazio museale concepito, si compone di grandi pannelli illustrativi, opera di Riccardo Merlo, e di teche, che conservano copie fedeli dei reperti. Villanoviani rinvenuti in quel luogo.
Con la realizzazione di tale spazio espositivo, si è così voluto mettere in luce le tracce più antiche della civiltà Felsinea etrusca che si ritiene si insediò proprio nell’attuale Cirenaica in quanto si trattava di un territorio pianeggiante e prospiciente al corso del fiume Savena (che allora scorreva in quell’area, mentre ora è collocato più a est).
Le abitazioni villanoviane erano per lo più del tipo a capanna a pianta circolare, ovale o rettangolare, e i principali materiali da costruzione impiegati erano legno, paglia e mattoni crudi.
L’edificazione del rione moderno (quartiere) fu avviata a ridosso della guerra italo-turca avvenuta del 1911-12, il cui esito fu la conquista della Libia da parte dell’Italia avvenuta Il 9 aprile 1913.
Per celebrare questo evento, il Comune scelse quindi di chiamare la strada principale del rione via Libia che rappresenta appunto l’arteria principale che attraversa il quartiere in tutta la sua lunghezza e di dedicare la toponomastica della zona alle principali città e regioni dei nuovi territori di conquista: via Tripoli (che inglobò nel suo percorso i relitti delle vie San Donato e Mondo), via Bengasi, via Derna, Via Zuara, Via Homs, Via Due Palme e Via Cirene, che diede il nome al rione (ed insieme a via Derna inglobò nel suo percorso i relitti di via Savena.
Nelle opere di edificazione realizzate nel rione Cirenaica, ebbe inizialmente un ruolo predominante la Coop. Risanamento, mentre negli anni dal 1934 e al 1937 operò principalmente l’”Azienda delle Popolarissime” (Iacp)
Dopo la seconda guerra mondiale, l’odonomastica coloniale lasciò il posto a quella riferita alla memoria dei Caduti per la Liberazione di Bologna e per volere dell’amministrazione comunale ( sindaco Dozza) le strade, ad eccezione della centrale via Libia (arteria principale), furono intitolate ai patrioti ed eroi della Resistenza tra i quali Giuseppe Bentivogli, Sante Vincenzi, Mario Musolesi, Paolo Fabbri, Gianni Palmieri, Massenzio Masia, Ilio Barontini, Gastone Rossi, Francesco Sabatucci.
Urbanisticamente parlando, la Cirenaica è un quartiere il cui fascino architettonico è espresso attraverso differenti tipologie edilizie, quelle dei grandi condomini edificati dalla Coop Risanamento, con tanto di targa commemorativa, che si affiancano alle villette dal tipico stile emiliano realizzate con i mattoni a vista e colori vivaci.
La regolarità delle strade, tutte simili tra loro, compongono così una scacchiera ordinata in cui gli elementi principali si ripetono puntualmente dando voce della memoria. di un quartiere operaio oggi multietnico.
In Cirenaica, tra le case ivi edificate, vi è anche quella del noto cantautore Francesco Guccini, il quale nel 1976 ha titolato un suo album con il proprio indirizzo, “Via Paolo Fabbri 43”.
In Cirenaica si segnala inoltre la presenza della mitica Trattoria Da Vito, locale dove altri cantanti come Dalla, Vecchioni, De André, erano soliti trascorre le loro serate “a tirar tardi”.
La storia urbanistica ed architettonica della Cirenaica è legata a quella del suo principale soggetto attuatore ovvero l’”Istituto Autonomo Case popolari” (Iacp).
Infatti, intorno agli Anni ‘30e ’40, l’’Ente (Iacp), bandisce un concorso per la costruzione di alloggi da destinarsi a famiglie numerose.
Il progetto vincitore risultò quello degli architetti lombardi Franco Albini, Renato Camus e Giancarlo Palanti, che erano esponenti di punta del razionalismo milanese.
Il loro progetto, vincitore verrà adattato alla realtà locale bolognese dal giovane progettista dello Iacp, l’arch. Francesco Santini (1904-1976) e questo permise la costruzione di numerosi stabili a più piani in diverse zone periferiche, tra le quali via Vezza, in Cirenaica, e in via dello Scalo.
Le “Popolarissime“, erano veri e propri “casermoni”, che, per esplicita vocazione e disposizione planivolumetrica, potevano essere realizzate in periferia rispetto al centro storico cittadino e lontano dalle arterie viarie principali.
Tali edifici erano destinati ad ospitare per lo più i diseredati del Baraccato (un ex ospedale militare fuori porta Lame) e le famiglie sfrattate dai borghi demoliti nel centro storico.
La struttura di questi insediamenti era del tipo “a rioni chiusi e autosufficienti” che prevedeva la messa in comune di vari servizi quali l’asilo, la lavanderia e il controllo sociale esercitato tramite un servizio di portineria.
I primi fabbricati delle “Popolarissime” furono consegnati nell’estate 1935 e Il trasloco alle nuove case assunse l’aspetto di un vero e proprio esodo, attuato con tutti i mezzi disponibili (anche portando le masserizie a spalla).
Il programma delle “Popolarissime” si chiuderà alla fine del 1937, con l’edificazione di più di 700 alloggi per circa 3.500 inquilini.
Ad oggi gli edifici di edilizia residenziale pubblica realizzati dallo Iacp in Cirenaica sono quelli principalmente distribuiti nelle vie Libia, Sante Vincenzi (un tempo via Derna), Gianni Palmieri (un tempo via Homs), Mario Musolesi (un tempo via Due Palme), Paolo Fabbri.
Focus quartieri di edilizia pubblica - la Bolognina
Con la fondazione dello Iacp (Istituto Autonomo case Popolari) avvenuta nel 1906, il Comune di Bologna si dota di uno strumento socioeconomico (soggetto attuatore) per dare una risposta alla sempre più crescente necessità di alloggi per le classi sociali meno abbienti, esigenza che fino ad allora veniva soddisfatta attraverso l’attività edilizia esercitata da Enti di Assistenza e Società Cooperative sostenute dall’Amministrazione Pubblica.
La popolazione a cui erano destinate le nuove abitazioni era in prevalenza quella estromessa dal centro storico a seguito degli sventramenti resisi necessari per attuare il P.R.G. approvato a Bologna nel 1889.
Nel suo primo periodo di attività, fino alla guerra mondiale, lo Iacp costruì più di mille alloggi distribuiti in 50 fabbricati e i primi edifici realizzati sorgeranno alla Bolognina a partire dal 1908.
L’8 maggio del 1908 furono infatti consegnati i primi 234 alloggi costruiti dallo Iacp in un’area (a nord della ferrovia) denominata “Bolognina.”
L’appartamento tipo proposto dall’Istituto Autonomo Case Popolari era di circa 40 mq, composto da cucina, camera e un piccolo locale per i servizi igienici.
Dal 1908 al 1912 furono realizzati così fabbricati del tipo a corte, su ampi lotti la cui suddivisione era determinata dalla maglia stradale così come ridisegnata dal Prg. del 1889.
Oltreché alla Bolognina, Nel 1912, gli insediamenti edilizi realizzati dallo Iacp interesseranno anche il quartiere “Cirenaica”, ovvero quell’area ubicata fuori porta S. Vitale dietro la stazione della Ferrovia Veneta.
Gli alloggi popolari verranno qui realizzati secondo quattro tipologie differenti, a cui corrispondeva un canone d’affitto differente.
Già nel 1910, era stata messa a punto una tipologia di alloggi con locali più ampi ed un terrazzino esterno per ogni abitazione, alloggi più grandi di quelli realizzati nel 1908 (40mq. Circa) ma a costi d’affitto leggermente superiori.
Era infatti stata fatta la scelta di elevare la soglia del reddito massimo delle famiglie aventi diritto all’assegnazione di un alloggio pubblico (anche per evitare il rischio di morosità).
Lo Iacp aveva fatto uno studio che aveva portato alla realizzazione di una nuova tipologia di alloggi che furono però realizzati solo in piccola parte).
Questi alloggi si differenziano dalle precedenti tipologie in quanto erano costituiti da un’architettura esterna realizzata con una minore parsimonia di ornamentazione, ma che internamente avevano una disposizione planimetrica studiata in modo da ricavarne appartamenti più ampi e comodi.
Questo studio e queste nuove tipologie di alloggi vennero fatti con il proposito di impostare un certo numero di case idonee a quella categoria di famiglie, modeste, le quali non potevano essere considerate “operaie” nel vero senso della parola, ma neppure essere ascritte alla borghesia, erano alloggi per famiglie, che avevano redditi se non inferiori, appena uguali ai redditi delle famiglie operaie.
Dal 1908 al 1918 la popolazione aumentata da 169.000 a 200.000 abitanti, rese necessari nuovi interventi edilizi realizzati allo Iacp tra il 1919 e il 1927.
Nel 1926, sotto la direzione del podestà Arpinati, si edificheranno anche alloggi “con patto di futura vendita” che escluderanno però le classi più indigenti della città, le quali, nonostante la politica di anti-urbanesimo proclamata dal regime fascista, avevano lasciato il lavoro della terra negli anni della grande crisi agraria (1931- 1933).
Dopo la Seconda Guerra Mondiale gli alloggi di proprietà dello Iacp distrutti o gravemente danneggiati ammontavano a quasi il 90% del Patrimonio stesso.
La ricostruzione degli edifici lesionati dalla guerra procedeva di pari passo all’edificazione di alloggi da realizzare ex novo, che venivano eretti con analoghe soluzioni progettuali, contribuendo a modellare un paesaggio dai tratti uniformi.
Alcuni edifici in linea destinati all’affitto, saranno realizzati in un contesto ambientale già fortemente caratterizzato dall’edilizia postbellica dello IACP, si tratta degli edifici che erano presenti in via Libia, via Pier Crescenzi e via Matteotti, destinati per lo più a residenza e in alcuni casi anche ad attività commerciali ubicate a piano terra, sotto al portico.
L’aumento dei flussi migratori dal Polesine (per l’alluvione del 1951), dal ferrarese e dal Meridione, contribuirono anch’essi, in questi anni, a marcare profondamente l’identità del quartiere, soggetto dagli anni Ottanta a un profondo cambiamento conseguente alla dismissione o riconversione (si veda le Officine Minganti) di importanti attività produttive, al riassetto infrastrutturale dell’area e all’afflusso di nuovi residenti immigrati.
Ad oggi, gli edifici di edilizia residenziale pubblica realizzati dallo Iacp alla Bolognina sono quelli principalmente distribuiti nelle corti interne, e nelle vie Albani, Zampieri, Di Vincenzo, Fioravanti. De’ Carracci (nel tratto compreso tra via Fioravanti e via Matteotti), Tiarini, Zampieri, Tibaldi, Bolognese e Matteotti, quale prosecuzione periferica di via Indipendenza.